Notizie Di Libri E Cultura Del Corriere Della Sera http://lettura.corriere.it/ecco-il-%C2%ABnarraprogrammatore%C2%BB/

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 Fear of digital world is similar to the fear of the print press

Credo che molte persone siano terrorizzate perché il mondo in cui sono cresciute non esiste più. Succede sempre quando c’è un cambiamento radicale. All’inizio della rivoluzione della stampa, che consentì la riproduzione meccanica di testi e l’educazione di massa, c’erano le stesse paure per la perdita di intimità, credibilità e rigore. “Adesso tutti possono pubblicare i libri”, dicevano. Temevano che i figli potessero leggere di nascosto libri piccanti a letto… Allora si scatenò il “panico da stampa”, adesso siamo nel pieno “panico da internet”. Gli uomini che hanno più paura del cambiamento sono quelli a loro agio con il “regime” che internet sta scardinando, per semplificare: maschi bianchi di mezza età e di classe sociale medio-alta. Tendono a guardare con nostalgia a un sistema di produzione e di potere che escludeva automaticamente le masse e rimpiangono il periodo in cui scrittori e intellettuali erano considerati star culturali, decisori dei gusti del popolo. Per loro quella doveva essere una specie di età dell’oro. Invece se guardo indietro vedo solo schiavitù, colonialismo, distruzioni di manoscritti ed emarginazione. Io ho un modello completamente differente nella testa: nulla muore ma tutto si reincarna e trova nuove forme di espressione. Pensiamo solo a quante volte è stato dichiarato morto il romanzo: gli annunci sono cominciati negli anni Sessanta, e circa ogni sei mesi, qualche uomo saggio lo dichiara morto. E invece mai tanti romanzi sono stati scritti e letti nella storia dell’umanità come in questi anni.

#anni  #solo  #species 
 Contemplative computing

Possiamo, però, ri-pensare la nostra relazione con internet. Come? Lo spiega Pang nel saggio The Distraction Addiction, uscito lo scorso 20 agosto per l’editore Little, Brown and Company. «Gli esseri umani co-evolvono con le tecnologie. Dall’invenzione dei modi per cuocere i cibi, così più facili da metabolizzare piuttosto che crudi, a quella dei vestiti, delle scarpe, delle armi, dell’agricoltura, della scrittura, non solo perfezioniamo i nostri strumentima evolviamo grazie a essi. Non vale solo per la fisiologia umana, ma anche per la psiche. Uno dei miei riferimenti è Andy Clark, docente di filosofia all’Università di Edimburgo, autore nel 2004 di Natural-Born Cyborgs. Per Clark la mente dell’individuo non è confinata al corpo e al cervello, ma si estende al di fuori del fisico, coinvolge gli strumenti tecnologici di uso quotidiano».

La nostra, in sostanza, è una mente estesa, fatta di neuroni, esperienze, relazioni ma anche pc e tablet. E se per il cervello biologico, per ritrovare la pace, funzionano le tecniche di meditazione, allo stesso modo, per preservare la salute della mente estesa, serve il Contemplative Computing: una prassi quotidiana, una miscela di respirazione, meditazione e disconnessione, in grado di trasformarci, per dirla con Pang, da monkey minds, menti di scimmia, in monks minds, menti ispirate come quelle dei monaci buddisti.

«A differenza del Pervasive Computing, inteso come un set di tecnologie e strumenti, il Contemplative Computing non si definisce tramite software o hardware, non è qualcosa da installare o comprare, ma una pratica da adottare. È un processo, non un software — spiega Pang —. Si tratta di recuperare spazi di contemplazione quotidiana diventati come foreste tropicali: aggrediti dall’espansione dei tempi di lavoro». Quattro le idee alla base del Contemplative Computing: le nostre relazioni con le tecnologie dell’informazione sono incredibilmente profonde e gli oggetti tecnologici servono a esprimere competenze umane fondamentali; la distrazione non è prerogativa contemporanea, gli umani hanno sempre dovuto combatterla, ed è per questo che le tecniche di meditazione millenarie sono salutari anche per la mente estesa; per cambiare la nostra mente estesa e controllarla è fondamentale osservarsi e analizzare il proprio rapporto con gli strumenti di connessione; bisogna considerare se stessi come un laboratorio e sperimentarsi, cambiando in modo consapevole e personale l’uso delle tecnologie.

#menti  #addiction  #umana 
 Fear of missing out (fomo)

Ma gli Internet Blocking Productivity Software, i programmi creati per bloccare l’accesso alla email e ai propri profili sui social network, funzionano davvero? «Si tratta di palliativi — spiega Luciano Floridi, filosofo e membro eletto della British Computer Society — interessanti più come segnali di unmalessere che come soluzioni». Nella nostra relazione con gli oggetti tecnologici dovremmo, invece, ispirarci ai musicisti, i quali, suggerisce ancora Linda Stone, «non vanno in apnea mentre suonano. Lo strumento non è solo una protesi fisica, ma una parte della loro stessa essenza». Solo così, pensando al computer come parte integrante della nostra identità potremmo imparare a usarlo meglio e ad affrontare il timore più tipico del nostro tempo: la Fomo — fear of missing out. La paura, cioè, di perderci qualcosa e di essere esclusi dalle nostre cerchie di relazioni.

«Ciò che è nuovo genera incertezze e timori — continua Floridi — ma anche curiosità e speranze. Una novità alla quale dobbiamo ancora abituarci è proprio quella del Fomo, un timore strettamente connesso, in termini economici, all’opportunity cost, il costo causato dal mancato sfruttamento di un’opportunità».

Internet, pc e smartphone, insomma, ci fanno scoprire il mondo ma anche percepire quello che stiamo perdendo. Così andiamo in ansia. «La Fomo diventa Como, certainty of missing out — spiega Floridi —. E alla Como non c’è rimedio, se non un po’ di intelligenza e saggezza nell’accettare i costi». Al «male digitale», insomma, non c’è «soluzione digitale», ma solo umana. «Il problema non è la tecnologia in sé — spiega alla “Lettura” Alex Soojung- kim Pang, ricercatore del Peace Innovation Lab dell’Università di Stanford e del Microsoft Reasearch di Cambridge — ma il modo in cui sono progettate certe tecnologie, spesso in maniera povera, non stimolante. E sono così usate con superficialità».

#Floridi  #social-networks  #Internet  #computer