Possiamo, però, ri-pensare la nostra relazione con internet. Come? Lo spiega Pang nel saggio The Distraction Addiction, uscito lo scorso 20 agosto per l’editore Little, Brown and Company. «Gli esseri umani co-evolvono con le tecnologie. Dall’invenzione dei modi per cuocere i cibi, così più facili da metabolizzare piuttosto che crudi, a quella dei vestiti, delle scarpe, delle armi, dell’agricoltura, della scrittura, non solo perfezioniamo i nostri strumentima evolviamo grazie a essi. Non vale solo per la fisiologia umana, ma anche per la psiche. Uno dei miei riferimenti è Andy Clark, docente di filosofia all’Università di Edimburgo, autore nel 2004 di Natural-Born Cyborgs. Per Clark la mente dell’individuo non è confinata al corpo e al cervello, ma si estende al di fuori del fisico, coinvolge gli strumenti tecnologici di uso quotidiano».
La nostra, in sostanza, è una mente estesa, fatta di neuroni, esperienze, relazioni ma anche pc e tablet. E se per il cervello biologico, per ritrovare la pace, funzionano le tecniche di meditazione, allo stesso modo, per preservare la salute della mente estesa, serve il Contemplative Computing: una prassi quotidiana, una miscela di respirazione, meditazione e disconnessione, in grado di trasformarci, per dirla con Pang, da monkey minds, menti di scimmia, in monks minds, menti ispirate come quelle dei monaci buddisti.
«A differenza del Pervasive Computing, inteso come un set di tecnologie e strumenti, il Contemplative Computing non si definisce tramite software o hardware, non è qualcosa da installare o comprare, ma una pratica da adottare. È un processo, non un software — spiega Pang —. Si tratta di recuperare spazi di contemplazione quotidiana diventati come foreste tropicali: aggrediti dall’espansione dei tempi di lavoro». Quattro le idee alla base del Contemplative Computing: le nostre relazioni con le tecnologie dell’informazione sono incredibilmente profonde e gli oggetti tecnologici servono a esprimere competenze umane fondamentali; la distrazione non è prerogativa contemporanea, gli umani hanno sempre dovuto combatterla, ed è per questo che le tecniche di meditazione millenarie sono salutari anche per la mente estesa; per cambiare la nostra mente estesa e controllarla è fondamentale osservarsi e analizzare il proprio rapporto con gli strumenti di connessione; bisogna considerare se stessi come un laboratorio e sperimentarsi, cambiando in modo consapevole e personale l’uso delle tecnologie.
« Contemplative computing »
A quote saved on March 16, 2014.
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