Naturalmente non tutte le stragi della storia sono di matrice religiosa: pure la Rivoluzione francese, atea e illuminista, fece correre sangue a fiumi e Voltaire – campione della tolleranza – commerciava in schiavi, per non parlare dei crimini delle ideologie pagane del nazismo e del comunismo. Senza contare le miriadi di dittatori tutt’altro che religiosi che usano la religione come instrumentum regni. La via d’uscita, almeno per chi capisce le battute, è proprio quella indicata col linguaggio fulminante e urticante della satira dalla copertina di Charlie Hebdo: lasciare in pace Dio nelle faccende del mondo, cioè della politica. Che poi è il secondo comandamento del Decalogo, riconosciuto dalle tre religioni monoteiste: “Non nominare il nome di Dio invano”. Ed è anche la lezione di Gesù nel Vangelo di Marco, quando i farisei tentano di coglierlo in fallo e incastrarlo come eversore: “Maestro, è lecito pagare il tributo a Cesare?”. E lui: “Mostratemi un denaro: di chi è l’immagine e l’iscrizione?”. “Di Cesare”. “Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Quella lezione si chiama laicità ed è valida tanto per gli atei quanto per i credenti di ogni religione: ciascuno è libero di credere in ciò che vuole, ma nessuno può imporre la sua religione (o il suo ateismo) agli altri. Ogni religione ha il sacrosanto diritto di predicare i propri princìpi, ma nessun governante è obbligato a seguirli nelle proprie scelte politiche, che devono perseguire l’interesse generale, cioè garantire a tutti eguali diritti e imporre a tutti eguali doveri. Oggi, numericamente, è la comunità musulmana la più allergica alla laicità, ma non è la sola: di bigotti, confessionali, nostalgici del potere temporale, è pieno anche il mondo occidentale che se ne ritiene immune. Basti pensare alle crociate di tanti cattolici (alcuni veri, altri presunti, altri finti) contro la fecondazione eterologa e addirittura contro l’idea di una legge che garantisca i diritti elementari alle coppie omosessuali. Non nel Medioevo: oggi, qui, in Italia. Spesso sono gli stessi che s’indignano con le teocrazie islamiche senz’accorgersi di sognarne una in casa nostra. Quelli che “Je suis Charlie” con la religione degli altri e ora non lo sono più per non mettersi in discussione. Il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2016