Nel caso italiano l’analisi è fatta solamente su due capacità esaminate: “Literacy” e “Numeracy”, poiché non è stato possibile somministrare i questionari relativi al problem-solving in ambito tecnologico.

La categoria “Literacy” –alfabetismo- ha a che fare con la capacità dell’intervistato di interpretare un testo a livelli differenti, a partire da quello base in cui bisogna semplicemente, ad esempio, indicare un nome da una lista di tre, fino al livello massimo in cui è richiesta la capacità di saper compiere una ricerca complessa all’interno di una bibliografia. I punteggi ottenuti dall’intervistato possono variare da “Below level 1” -punteggio minore di 176- a “Level 5” -punteggio superiore o uguale a 376-. Andando ai risultati globali, il “Level 3” è quello più presente fra gli adulti nei diversi paesi con una media globale del 38% fra i candidati. In Italia il “Level 3” è centrato solo dal 26% degli intervistati, risultato peggiore di tutti. Guardando la prima colonna della tabella riportata a fondo articolo, si nota come il punteggio medio in Italia sia di 250 punti a fronte di una media globale di 273 punti – la casella grigia in cui ci troviamo indica che il nostro punteggio è “significativamente al di sotto della media”-.

Passando alla seconda categoria “Numeracy” -abilità di calcolo-, la scala di valori è ancora compresa fra un punteggio minore di 176 (“Below Level 1”) e maggiore o uguale a 376 (“Level 5”). In questo caso i compiti richiesti agli intervistati variano da operazioni elementari quali saper mettere in ordine le date di confezionamento degli alimenti leggendo sull’etichetta i valori di diversi prodotti, fino ad analisi più complesse quali inferire da una tabella in cui sono comparati gli anni di scolarizzazione di uomini e donne in diverse epoche, la percentuale approssimativa di un determinato genere in un’epoca precisa.

I risultati, anche in questo caso, sono impietosi per l’Italia che si prende il titolo di percentuale più alta di adulti nel “Level 1” (31.7%) e nel “Level 2” (38.8%) a fronte di una media globale di 46.8% di adulti intervistati presenti nella fascia “Level 3”, in cui gli italiani hanno solo il 28.9% dei rappresentanti. Ancora una volta, possiamo confrontare questi risultati nella tabella in fondo all’articolo osservando la seconda colonna in cui sono riportati i punteggi medi in questa categoria per tutti i paesi. Purtroppo, anche in questo caso, l’Italia è quasi il fanalino di coda –la guerra dei poveri, in questo caso, è vinta dalla Spagna con un risultato più basso di solo un punto- con 247 punti a fronte di una media globale di 269. Anche in questa categoria l’etichetta di “significativamente al di sotto della media” sottolinea l’inadeguatezza dell’Italia. Il rapporto dell’OECD è ricco (oltre 450 pagine) ed analizza svariati fattori che possono influenzare i punteggi: dal contesto socio-economico da cui provengono i candidati fino ai punteggi ottenuti dagli immigrati nei vari paesi. Purtroppo, anche in queste successive analisi, l’Italia si trova sempre in fondo: anche i candidati provenienti da contesti economico-sociali considerati “migliori”, quali avere genitori laureati e con reddito alto, hanno punteggi nettamente al di sotto di quelli ottenuti dai coetanei provenienti da ambienti sociali simili. L’ultimo capitolo, infine, è dedicato alle conseguenze di questi risultati. In particolare di come i punteggi alti nelle categorie valutate –“Literacy” e “Numeracy”- influenzino positivamente l’occupazione nel mercato del lavoro, i salari, la partecipazione in associazioni o nel volontariato, la salute e il senso individuale di essere influenti nel processo di decisione politica



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