Come ricordato dallo stesso Ainis, il “recall” è una procedura che esisteva già nella democrazia ateniese ma che è sostanzialmente sconosciuta in Italia. In Europa è diffusa l’idea che l’operato degli eletti debba essere giudicato dagli elettori solo alla scadenza del mandato, con il voto: chi ha operato male, non sarà rieletto. Concetto condivisibile, ma che non mette la cittadinanza al riparo da ruberie, scandali e dissesti economici dell’immediato. In Italia poi, anche di fronte ad accuse circostanziate, chi ricopre una carica pubblica spesso non si assume le proprie responsabilità, nemmeno di fronte all’evidenza della colpa. Inoltre vige il principio che si vada ritenuti “innocenti fino a sentenza definitiva”: con i tempi della giustizia italiana, questo significa che l’opinione pubblica deve attendere parecchi anni prima di costringere un politico all’uscita di scena, con il rischio che eventuali reati o acclarate incapacità si perpetuino ben oltre il primo allarme. L’istituto del “recall” è usato in sei cantoni svizzeri, nella provincia canadese della Columbia Britannica, in Venezuela e, soprattutto, in numerosi stati USA. In Svizzera, paese nel quale si inserisce in una serie di istituti tradizionali di democrazia dal basso, nonostante sia richiesta una quota di firme piuttosto ridotta (dal 2% all’11% degli elettori, a seconda dei cantoni), il “recall” è stato utilizzato molto raramente e mai nessun politico è stato destituito grazie a questo meccanismo. Lo stesso è accaduto nella Columbia Britannica canadese, dove dal 1995 (anno dell’introduzione nell’ordinamento) 24 proposte di “recall” sono state lanciate ma ben 23 non hanno raggiunto il numero di firme necessario, mentre in un caso il politico in oggetto ha preferito dimettersi prima del voto. In Venezuela, l’istituto del “recall” è previsto per tutte le cariche elettive dall’articolo 72 della Costituzione “Bolivariana” del 1999, e nel 2004 fu il presidente della repubblica, Hugo Chavez, a superare positivamente un tentativo di destituzione.