Credo che molte persone siano terrorizzate perché il mondo in cui sono cresciute non esiste più. Succede sempre quando c’è un cambiamento radicale. All’inizio della rivoluzione della stampa, che consentì la riproduzione meccanica di testi e l’educazione di massa, c’erano le stesse paure per la perdita di intimità, credibilità e rigore. “Adesso tutti possono pubblicare i libri”, dicevano. Temevano che i figli potessero leggere di nascosto libri piccanti a letto… Allora si scatenò il “panico da stampa”, adesso siamo nel pieno “panico da internet”. Gli uomini che hanno più paura del cambiamento sono quelli a loro agio con il “regime” che internet sta scardinando, per semplificare: maschi bianchi di mezza età e di classe sociale medio-alta. Tendono a guardare con nostalgia a un sistema di produzione e di potere che escludeva automaticamente le masse e rimpiangono il periodo in cui scrittori e intellettuali erano considerati star culturali, decisori dei gusti del popolo. Per loro quella doveva essere una specie di età dell’oro. Invece se guardo indietro vedo solo schiavitù, colonialismo, distruzioni di manoscritti ed emarginazione. Io ho un modello completamente differente nella testa: nulla muore ma tutto si reincarna e trova nuove forme di espressione. Pensiamo solo a quante volte è stato dichiarato morto il romanzo: gli annunci sono cominciati negli anni Sessanta, e circa ogni sei mesi, qualche uomo saggio lo dichiara morto. E invece mai tanti romanzi sono stati scritti e letti nella storia dell’umanità come in questi anni.