Possiamo quindi dire che, ad oggi, è possibile inserire la dicitura Made in Italy soltanto se il prodotto è stato interamente realizzato in Italia oppure se, ai sensi dell’art. 36 del Codice Doganale Comunitario Aggiornato, il bene ha subito in Italia l’ultima trasformazione sostanziale secondo le indicazioni di cui all’allegato 10, 11 e 15 del Regolamento di Attuazione del Codice Doganale Comunitario. Pertanto, se un’impresa può indicare l’origine italiana ai fini doganali ha altresì la facoltà di apporre il marchio d’origine Made in Italy. L’inadeguatezza delle misure indicate potrà essere superata soltanto laddove la Comunità Europea imporrà, definitivamente, l’obbligo di apporre l’indicazione dell’origine geografica della merce sui prodotti destinati al Mercato Unico. L’attuale indiscriminata importazione di prodotti di cui non si conosce, di fatto, l’effettiva provenienza trova, tuttavia, ancora oggi la ferma adesione delle società multinazionali, che delocalizzando completamente i propri processi produttivi nei paesi in via di sviluppo sono fortemente interessate a non palesare l’origine geografica dei beni poiché prodotti a costi altamente competitivi e successivamente rivenduti, con elevati margini di profitto, nei mercati sviluppati.